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CAPO TERZO

della soddisfazione de’ debiti e de’ censi


Esame della questione intorno alla moneta con cui si hanno a pagare le somme convenute — La restituzione d’egual peso di metallo non è sempre l’equivalente — Non si può stipulare di non dover stare facto principis.

Chiunque riguarderá la brevitá del presente capo, avrá meraviglia nel conoscere come io in esso ragiono d’una non men antica che difficile e lunga questione: cioè con qual moneta s’abbiano a pagare i debiti, se con quella che ottiene lo stesso nome della giá stipulata, sebbene con disegual peso, o con quella che s’eguagli nella quantitá del metallo alla convenuta tra i contraenti. Cesserá lo stupore, considerando che la disputa è stata trattata da altri secondo le leggi positive de’ re, varie ne’ vari luoghi e nella serie de’ tempi: da altri secondo gl’insegnamenti della ragione e della naturale giustizia. Di tali maniere l’una non m’appartiene, l’altra non mi conviene. Discorrere sopra le varie leggi de’ principi intorno agli effetti della mutazione della moneta è opera piú degna de’ giurisconsulti che mia, e ad essi l’abbandono. Voler poi sapere ciò che la ragione insegni, mi farebbe vergogna, s’io mostrassi desiderarlo ed andarlo ricercando. L’alzamento della moneta è una violenza fatta alla natura, renduta dalle calamitá dello Stato necessaria, e si può in certo modo dire ch’essa sia un abuso di voci ed un inganno fatto sulle idee, per rendere al popolo piú soffribile il necessario pagamento de’ debiti del comune. Or qual lume di ragion naturale si vuol trovare lá dove è oppugnata e sovvertita la natura? Somiglianti ricerche non convengono se non a chi non conosce che sia l’alzamento.