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capo secondo | 245 |
Supponiamo imprima che al nostro Regno, giá bastantemente provveduto di moneta, ne fosse donata altrettanta, sicché egli ne avesse trentasei milioni di ducati. Finché un tanto metallo resterá fra noi, non saremo né piú ricchi né meglio agiati. Il corso e la distribuzione della moneta non si correggerá coll’accrescerla, se la nuova si spanderá colla stessa proporzione con cui era distribuita l’antica; e pure cosí seguirá, quando non si diano ordini migliori. Ne ritrarremo adunque solo il dover con sei once di metallo permutare quel che prima si aveva con tre; e ciò sará di molestia per lo maggior peso, non di giovamento alcuno. Sicché, fintanto che resta il nuovo denaro fra noi, il dono è stato inutile e poco desiderabile. Che se noi estrarremo il denaro, è certo che potremo ritrarne molte merci e molti comodi della vita. Ma, siccome il nostro Regno produce abbondantemente tutto quanto a’ primi bisogni si ricerca, altro non possiamo comprare che merci di lusso e di voluttá. Or questo non è altro che promuovere lo spaccio delle industrie altrui, premiare i loro sudori, accrescere le loro ricchezze, e dar loro mezzo di poter venire con quel denaro istesso a comperare il nostro grano, il vino e l’olio, e cosí nutrirsi, popolarsi e rendersi forti e formidabili a noi. Il molto denaro adunque, se si ritiene, è inutile; se si spende, è dannoso; essendo cosa manifesta doversi da chi governa attendere a debilitare sempre i principati altrui con quelle arti e mezzi che non offendano la virtú e la religione, e doversi rendere la vita de’ sudditi piú felice e piú desiderabile che de’ popoli convicini.
Ma, quel ch’è peggio, l’oro e l’argento non ci sono donati. Si comprano, e si comprano caro, con merci nostre o mandate all’America o a que’ popoli che mandanvi le loro. Finché un paese si provvegga di tanto metallo che riempia le vene del commercio, giustissima è la spesa, né per qualunque prezzo è cara la compra di metalli tanto necessari; ma, dacché ne ha la giusta quantitá, non può comprargli con merce che non sia piú utile de’ metalli, che divengono allora inutilissimi. Or perché mai s’ha da accrescere agli stranieri, e talora anche a’ nemici, l’abbondanza de’ comodi, per abbondar noi negli ornamenti