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238 | libro quarto |
che furono mali una volta; ma, siccome ogni morbo, col tempo, o si sana, o si muta la complessione del corpo in modo che, abituatasi al male, lo converte in natura sua, questi oggi non sono piú mali. Vero è che la venuta d’un principe proprio, inevitabilmente e per legge intrinseca, fa crescere vieppiú la capitale, ove ei risiede, e richiama piú liti al fòro; ma l’una e l’altro, dopo breve tempo, vanno a migliorarsi. La capitale giunge a tanta grandezza, che alla fine discaccia da sé i nuovi ospiti: nel tempo stesso che le province, per l’acquisto della libertá e del commercio, si popolano. Il tribunale, oppresso dalla sterminata folla delle liti, si corrompe e si disordina in guisa tale, che, non potendo piú peggiorare, né essendo alle cose umane concesso il fermarsi mai, conviene che si riordini e si migliori. Ed a tutti questi accidenti, perché provengono da cause naturali, non han colpa né merito i cittadini.
La sola presenza del principe dunque basta quasi a sanare uno Stato da ogni infermitá. Che se poi egli sará d’ottime e virtuose volontá e d’animo saggio e grande, come è quello che la Provvidenza ha donato al Regno di Napoli, mossa forse a compassione delle sue tante e sí lunghe avversitá, si anticipa di molto il tempo della guarigione. Ma ogni principe, quando non sia un tiranno, sempre ravviva uno Stato. E perciò la presenza del principe sará da me numerata in settimo luogo come una cagione principalissima a perfezionare il corso della moneta. Da lui è dato impiego e stimolo a faticare a tutti. Di qui nasce il lusso, e dal lusso la magnificenza e la letizia e i dolci costumi e le arti e i nobili studi e la felicitá. E, poiché io ho tanto spesso nominato questo lusso, non è fuori del mio proposito ragionarne una volta posatamente.