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capo quarto | 219 |
rimasa quasi senza denaro. Temette dunque il parlamento d’un bene impossibile, ma grandissimo, e ne temette come di un male prossimo e funesto. Né creda alcuno che l’aver il parlamento in una sola notte deliberato, meriti addursi per iscusa, perché lo stesso ne sarebbe stato anche dopo lungo esame; essendo queste sue considerazioni quelle che dalla superficiale meditazione, quale il piú degli uomini usano, sogliono presentarsi alla mente.
Ora, per continuare la storia, il re non rispose al parlamento, se non dicendo che l’editto e l’opera non si poteano piú sospendere né rivocare. Fattosi animo, il parlamento, di sua autoritá, rivocò ed annullò l’editto con espressioni sediziose. Consiglio imprudente e che fu fatale alla Francia. Il Consiglio di Stato annullò subito l’arresto del parlamento de’ 29 giugno, né fece altra dimostrazione; ascoltando anzi tranquillamente la nuova rimostranza, che fu fatta dal primo presidente con termini assai rispettosi. A questa ed alla prima rispose finalmente il custode de’ sigilli i 2 luglio, con risposta degna della sapienza e superioritá d’animo di chi reggeva. Disse che
il re, essendo persuaso doversi pagare i debiti dello stato dallo stesso stato, in difesa di cui sonosi contratti, crede che tutti gli ordini del suo regno gareggeranno in soddisfargli, né nelle dignitá, nascita o privilegi loro cercheranno uno scampo indegno del loro zelo e fedeltá. I danni privati de’ creditori sono compensati dall’utilitá pubblica e dalla liberazione piú facile e pronta de’ debitori; e i terreni, che sono la vera ricchezza dello Stato, divenendo migliori delle carte obbligatorie, cresceranno di rendita e di prezzo. L’esazione delle imposizioni sul popolo miserabile sará piú facile, e perciò meno grave ad esso, piú copiosa al re, e l’introito di giugno l’ha giá fatto vedere.
Questa risposta, di consumata prudenza, in poche parole scuopre la falsitá delle opposizioni. Ad essa seguirono nuove e mal intese rimostranze, terminate dal grande e memorabile lit de justice de’ 26 agosto, col quale fu depresso ed umiliato il parlamento, con caduta tale, donde egli non è mai piú risorto.