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capo terzo 205


restar creditore delle medesime fatiche da’ ministri, non ostante ch’ei non soddisfi lo stesso debito di mercede. All’utilitá del principe, che è il centro della societá, dovendo cedere quella d’ognuno, ancorché restasse aggravato il povero, non converrebbe dolersene. Ma il fatto è che il povero ne trae sollievo, non assolutamente (come ha creduto il Melun), ma relativamente, in quanto del nuovo peso tocca a lui la minor parte. Imperciocché tutto quel risparmio, che fa il principe sui suoi ministri, non possono questi farlo sugli altri, che alzano subito il prezzo alle loro fatiche; onde conviene loro tollerar qualche perdita per cagione del valore della moneta cambiato. Coloro, a’ quali la danno, anche essi perdono, e cosí di grado in grado la perdita si distribuisce sopra tutti, finché perviene a’ contadini, da’ quali nel nuovo pagamento de’ pubblici pesi è renduta al principe. Or, poiché nel circolo delle spese, che fa il principe, egli è in una estrema punta e nell’altra i contadini, e in quello dell’introito subito da’ contadini si passa al principe, ne siegue che ne’ risparmi di spese il minor danno è de’ contadini, nella diminuzione de’ dazi il maggior utile è loro. Ambedue cotesti effetti ha l’alzamento delle monete con sé, quando egli è fatto nelle strettezze de’ bisogni. E, a dar di ciò una immagine viva, si può considerare quel moto, che fanno le acque d’un pozzo percosse da una pietra cadutavi nel mezzo; che di quanto ho detto è la similitudine piú naturale.

L’altro errore, in cui cade il Melun, è simile al primo, concludendo un suo discorso cosí: «L’alzamento delle monete, per guadagnare il dritto della zecca, è pernicioso; per sollevare il contadino aggravato dall’imposizione, è necessario». Assolutaniente profferita, questa necessitá è falsa; mentre, invece di sminuire l’intrinseco valore de’ dazi, è meglio toglierli. Un re di Francia, che riscuota duecento milioni di lire sul suo popolo, perché mai, volendo sollevarlo da tanto peso, ha da far che, mutata la moneta, duecento milioni corrispondano a soli centocinquanta milioni antichi, e non piú tosto annullare cinquanta milioni di dazi? Voler udire la medesima grandiositá di numero, ma di cose mutate, è ridicola vanitá. Allora dunque è necessario l’alzamento,