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162 | libro terzo |
Tum vero Glauco Saturnius mentem ademit Iuppiter,
qui cum Tydide Diomede arma permutavit,
aurea aereis, centum bobus aestimabilia cum iis, quae novem aestimabatur.
Onde deducono che l’oro era al rame come cento a nove. Della qual conseguenza non s’è tirata ancora al mondo la piú falsa e la piú assurda. Se cosí fosse stato, dell’oro, per la eccessiva abbondanza, si sariano fatte le mura e lastricate le strade. Oggi, che abbiamo tanto oro e che di rame non abbiamo minore o maggior quantitá d’allora, la proporzione è incirca come millecento a uno; ed allora sarebbe stata come undici ad uno, quanto a dire cento volte maggior quantitá d’oro avrebbero avuta i troiani. Ridasi adunque di questa scoperta, e piangasi nel tempo istesso che sieno caduti gli scrittori piú venerabili in mano agli umanisti, che, mentre ne hanno emendate le voci, ne hanno mal intesi i sentimenti. Se non fosse alieno dal mio proposito, io dimostrerei ora che le armature erano ambedue di rame puro, giacché un’armatura d’oro è inservibile per lo peso e per la debole resistenza agli urti de’ colpi; e che non per altro si dicono l’una di rame e l’altra d’oro, che per esprimere la somma differenza di bontá e di eccellenza, che mettevale fuori d’ogni proporzione. E questa frase di dire ogni cosa eccellente nel suo genere: «d’oro», è in tutte le lingue frequente ed usitata.
Poiché dunque in Omero non rimane vestigio dell’antica proporzione, il primo, che ne dica, è Erodoto. Egli, narrando al libro terzo le rendite del re Dario, dice imprima che i tributi d’argento si pagavano in talenti babilonici, que’ d’oro in euboici: dice poi che gl’indi, nazione numerosissima, pagavano di tributo trecentosessanta talenti d’oro raccolto ne’ fiumi, o sia di polvere d’oro: infine, per sapere tutte le rendite di Dario a quanti talenti euboici ascendessero, dice1: Τὸ δὲ χρυσίον τρισκαιδεκαστάσιον λογιζόμενον, τὸ ψῆγμα εὑρίσκεται ἐὸν Εὐβοϊκῶν ταλάντων
- ↑ [iii, 95, i.]