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capo primo 155


incarire, e cosí equilibrarsi. Or, posto che tal cosa sia utile, noi resteremo privi d’una cosa utile alla vita, e, in questa vita essendo la felicitá originata sempre da’ commodi che si godono, questo è il male maggiore.

È generale questo effetto a tutte le cose alle quali si fisserá il valore; ma, a volerlo applicare al denaro, si stabilisca che la proporzione naturale tra l’oro e l’argento oggi è che chi possiede una libbra d’oro è ugualmente ben provveduto di colui che ne ha quindici incirca d’argento. Venga ora l’autoritá pubblica, e faccia tredici libbre d’argento eguali ad una d’oro. Torna subito conto il pagare in argento, mentre non piú quindici libbre, ma solo tredici se ne hanno a dare per soddisfare il debito d’una d’oro. Torna in vantaggio ritenersi l’oro; e, mandandolo lá ove ancora si siegue a valutarlo per quindici libbre d’argento, un uomo, che avea trenta libbre d’argento di rendita e quindici di debito, fatta questa mutazione, ne avrá trentaquattro d’entrata e tredici di debito: dunque l’oro ha da sparire e l’argento solo restare. Se questo stabilimento dura, tutto l’oro anderá via. Se, conoscendosi la perdita d’una classe di moneta tanto necessaria, si abolisce la legge, si proverá il danno di quella parte dell’effetto che era giá seguito. Perocché, poniamo che, mentre la disproporzione era in vigore, centomila once d’oro siensi estratte e cambiate in argento; saranno dunque entrate un milione trecentomila once d’argento. Se si volesse ripigliar l’oro, avrá questo Stato altre centomila once d’oro? No, perché si dee ripigliare da’ paesi, ove le leggi di chi l’ha perduto non han forza, e lá l’oncia ne vale quindici d’argento; sicché saranno rendute sole ottantaseimilaseicentosessantasei: tutto il restante, che non è poco, lo Stato lo ha per sempre perduto, ed è andato in mano della gente piú accorta. Se questi sono stati stranieri, ben si vede qual pazzo dono e quanto considerabile s’è fatto loro: se sono cittadini, solo uno sciocco politico può dire che non vi sia stato danno. Perocché è legge di natura che le ricchezze abbiano ad essere ricompensa solo di chi arreca utile o piacere altrui; e dovunque si permette che uno spenda o perda qualche suo guadagno