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capo terzo | 111 |
Perciocché, essendo certo che si trovano molte cose, che non hanno maggior prezzo d’un quattrino o sia d’un nostro tornese, niuno mi contrasterá che sia affatto impossibile esprimer questo prezzo in oro, dovendosi prendere un granello d’oro minore d’un grano di sabbia. Né vale il dire che questo grano si può, ligandolo con altro metallo, far divenire di mole piú sensibile ed atta alla mano; perché, cosí dicendo, si dá per concessa la necessitá de’ metalli bassi, né giova framischiarvi quest’oro, quando il metallo basso ha proprio valore e da per se solo basta a servir per moneta. Se si potesse mescolare e fonder l’oro con cosa di niun valore, come i sassi e le terre, gioverebbe questa unione; ma, oltre al non potersi, questa operazione d’estrarre l’acino d’oro, valendo assai piú della materia istessa, fa che la cosa sia impossibile per ogni verso. Lo stesso si convien dire dell’argento. Ma per contrario non v’è valore espresso dall’oro, che non lo possa esprimere il rame. Un milione di ducati, come si può aver d’oro, cosí anche di rame, s’uno vuole, l’avrá. Non nego che ciò sará con maggiore imbarazzo; ma insomma quanta disparitá è tra la molta difficoltá e l’impossibile assoluto, tanta n’è tra l’utilitá del rame e dell’oro. Questo pregio è il maggiore che ha il rame.
L’altro, non molto minore, è ch’egli soggiace meno alle frodi ed alle arti che sulla moneta si usano e con piú buona fede si traffica. Gli uomini non amano i guadagni piccioli e penosi, quando da pericoli grandi siano circondati. I sovrani, nelle grandi somme che dánno e che ricevono, non usando altro che i metalli preziosi, al rame non pensano neppure né coloro, che amministrano la zecca, inganneranno mai il loro principe con por lega al rame: frode, che, per poter dar loro qualche profitto, fa d’uopo che sia grandissima e manifesta. Infine i popoli non avvertono ai difetti di questa moneta, né del suo valore intrinseco hanno alcuna sollecitudine: perché, quando non si teme di fraude, gli effetti del consumo e del tempo non si stimano. Così non v’è chi s’imbarazzi se le monete di rame, con cui è pagato, sieno intere o scarse, né mette da canto le giuste e dá via le logore o guaste, come si fa dell’oro e talora