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110 | libro secondo |
fu perché non conobbero altri metalli che i preziosi. Ma, se è vero che questa diversitá è tanto giovevole, vero è ancora che spesso (come sono le umane cose miste di buono e di male) è cagione di grave danno. Il determinare inconsideratamente la proporzione tra questi metalli può impoverire uno Stato, d’uno o di due metalli senza riparo alcuno privandolo, e lasciandone un solo; il quale, come io dissi, diviene di cosí molesto uso, che quasi inutile si può dire. Ma di questa sproporzione sará ripieno il terzo libro. Ora sui pregi di ciascuna delle tre classi di metalli io mi prefiggo discorrere; e poi delle monete di due metalli, che «billon» si dicono, nel sesto capo, come in luogo piú acconcio, ragionerò.
Il rame puro corre oggi fra noi in sei monete diverse, il «tre cavalli» (nome preso dalla moneta «cavallo», che al terzo di questa corrispondeva e dall’impronto postovi da Ferdinando primo d’Aragona prendea la denominazione), il «quattro cavalli», il «sei cavalli» o sia «tornese» (cosi detto dalla cittá di Tours, la cui zecca dette il nome alle lire ed ai soldi; e dagli Angioini fu tra noi introdotto), il «nove cavalli», il «grano» e la «publica», che vale un grano e mezzo ed ha questo nome dalla leggenda, in cui si legge «Publica commoditas».
L’utilitá del rame (sotto il qual nome comprendo tutti i metalli inferiori, perciocché questo, ch’io dirò del rame, si può dir del ferro fra que’ popoli che l’usarono per moneta) è sopra gli altri grandissima; e, quando altra pruova nol convincesse, basterebbe questa, che vi sono state nazioni intere che non hanno usato altro, siccome fu Roma e Sparta e le popolazioni de’ sassoni e de’ franchi antichi. Ma non si troverá nazione alcuna, che, non avendo metalli bassi, abbia conosciuta moneta. Né mi si può opporre che i turchi non hanno moneta piú bassa dell’«aspro», il qual pure è d’argento, perché il colore dato da poca mistura d’argento al rame non ne converte la natura, né la moneta di «billon» merita d’esser distinta dal rame. È adunque il rame, siccome la piú vile, cosí la piú utile moneta; e quel, che l’esperienza addita, la ragione lo confirma e lo dimostra.