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capo secondo 95


che sieno, niuno ve n’è che col fissar la moneta di conto si possa sanare.

Passiamo ora all’editto di Errico quarto del 1602, in cui quello del 1577 si annullò, e si restituirono le lire, i soldi e i danari. La ragione di tal cambiamento fu, perché quel!’altro conto «era cagione della spesa e superfluitá, che si osservava in ogni cosa, e del loro incarimento». Queste sono le parole dell’editto; e perciò con termini d’imprecazione e d’abborrimento si scaccia e si maledice il conto in scudi, sostituendovi l’antico. Questa ordinanza veramente altro non dimostra se non che coloro, i quali erano allora in Francia da sú, non erano tutti da piú degli altri. Quanto in essa si dice, non può venire che da chi intorno all’arte del governo viva nelle tenebre della maggiore oscuritá. La superfluitá e la spesa sontuosa sono le fedeli compagne della pace e del prospero stato, e l’incarir le merci è il segno infallibile del fiorire d’una nazione; e tutto questo era dovuto alla sapienza di quel virtuosissimo re. Dunque, per dir tutto in uno, la Corte delle monete fece fare ad Errico quarto un editto contro il suo buon governo, e le voci inconsiderate della moltitudine lo spinsero a dar rimedio al bene infinito ch’egli facea alla Francia, la quale perciò come suo restauratore e padre meritamente l’onora. Buono è che non fu meno frivolo il rimedio di quel che fosse sognato il male. E che cosí fosse, si conobbe, perché la Francia, crescendo sempre in ricchezze, vide ognora piú crescere la perseguitata superfluitá delle spese.

Che se alcuno mi chiede qual mai potesse essere l’apparente ragione di questo editto, io gli risponderò che, dopo avervi meditato, appena la trovo; ma certo fu una di queste. In primo io osservo che, quando uno si duole, rare volte ne indovina la cagione, e sempre ne incolpa quell’ultimo avvenimento, che gli è piú fresco nella memoria. Forse cosí i francesi, sovvenendosi ancora dell’antico conto in lire e della premura grandissima con cui Errico terzo l’avea proibito, né sentendosi del presente stato contenti (come è la natura de’ popoli, pronta a sperare piú di quel che si debba ed a soffrire meno di quanto è necessario),