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Esempj di questo tutto ne abbiamo nel ravvizzone1, nel lupino, nel lino, nella canapa, ed in molti cereali, quali il riso, il miglio, il frumento ed anche nel melgone lasciato in panocchia. Che anzi è frequentissimo il vedere migliori, più pesanti e meno rugosi, i semi delle piante levate piuttosto immature dal suolo, che non quelli d’altre rimaste in terra sino a perfetta maturanza, e finchè il seme abbia acquistato il grado normale di secchezza, pel quale possa conservarsi. Lo stesso però non avverrebbe quando si staccassero dallo stelo le silique, le spighe, od i bacelli. Anche le piante a radice carnosa, quando maturano il seme, consumano gran parte della sostanza che le costituisce.

Un’altra conseguenza pratica di questo stesso principio, cioè che lo stelo prepara in sè i materiali pel seme, e che il seme, nei suoi ultimi momenti di formazione, vive in parte a spese del proprio stelo, è la seguente:

L’erba destinata ad essere convertita in fieno non si lascerà mai arrivare a tal punto che incominci a togliere al terreno i materiali pel seme, e meno ancora si permetterà che questo possa maturare. Tale intento facilmente lo si ottiene, senza grave scapito nella qualità nutriente del foraggio, falciando il prato quando la maggior parte delle erbe, che ne compongono la cotica, stia per isfiorire. Così operando, il fieno riesce migliore, cioè più nutriente, perchè steli e foglie nulla hanno somministrato alla formazione e maturazione d’un seme che ordinariamente va perduto nell’essiccamento, nel trasporto sulle cascine, e nelle mangiatoje. E queste sostanze, o materiali che servono alla formazione del seme, sono le più nutrienti, quelle cioè che contengono la massima quantità di materie albuminoidi. Inoltre, se l’erba che non ha maturato il frutto è migliore pel bestiame, meno

  1. Vedi, Études sur le colza, par Isidore Pierre, Comptez rendus de l’Académie des Scientes. Paris