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tenerla in bilico contro la furia dei venti. Si diceva questo è un terreno buono, e quest’altro no; questo è da frumento, quello da segale, quell’altro da bosco, da prato, da vigna, ecc.; si argomentava dall’effetto che, per lunga esperienza, erasi osservato nelle varie piante coltivate, ma non si andava più in là. La concimazione, la quale variava nei suoi effetti secondo le varie materie a tal’uopo adoperate, o secondo le piante coltivate, non era meglio spiegata. Dicevasi, come assioma sperimentale, il tal concime fa bene alla tal pianta, ed il tal’altro alla tal’altra. Tutta la fiducia era riposta negli ingrassi animali e specialmente in quelli da stalla: i concimi inorganici erano adoperati alla cieca, o trascurati affatto. La rotazione, o successione naturale ed artificiale delle piante sullo stesso spazio di terreno, teneva per unica base una lunghissima sperienza; variava secondo le località; era sancita e comandata dall’abitudine, ma non era spiegata. Chi avesse domandato agli avi nostri perchè un terreno coltivato sempre colla stessa pianta diminuisca mano mano di prodotto, mentre, cambiandosi il genere della pianta, si può avere ancora un buon risultato, certamente avrebbe sentito rispondersi vaghe ed insufficienti supposizioni di simpatie e di antipatie fra le varie piante, o di stanchezza del terreno a dar sempre lo stesso prodotto. — Sol verso la fine dello scorso secolo si credette d’aver trovata la spiegazione, dicendo che gli escrementi d’una pianta erano dannosi alla pianta istessa, quando venisse nuovamente coltivata sullo stesso spazio di terreno, laddove potevano tornar utili alla vegetazione d’una pianta di genere diverso. Ma coll’incominciare del secolo presente, e coi successivi progressi, la chimica, col mezzo delle analisi, ci mostrò l’intima composizione dei terreni e le differenze dei loro componenti; pose in chiaro come le piante non vivessero soltanto di aria e di acqua, ma eziandio di sostanze