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al lettore vii

piamo o non vogliamo essere nè carne nè pesce, e almanacchiamo per trovare sempre il bandolo di tenere accesa una candela al diavolo e un cero a san Michele.

Perchè la satira ha questo di buono: che mentre un periodo storico d’un popolo — chè nel popolo ella vive e trova alimento — discende passo passo all’occaso per lasciar posto a nuovi fatti e ad una nuova generazione, ella, la satira, subisce la medesima legge e tramonta: ma tramonta come il sole che dopo un mezzo giro risorge, e come il sole ella rifulge più splendida, più giovane, più rigogliosa.

La satira è in apparenza, fra i diversi generi di letteratura, quella che sente più vive le morsicature del tempo, ma ha nell’intima natura sua questo dolce compenso, che trova facile la via a trasformarsi, a pigliare l’intonazione dei tempi, dei luoghi, delle istituzioni, a farsene prò, diventare una cosa medesima con quella gente in mezzo alla quale deve rotare la sferza. Come il mistico uccello favoleggiato dai poeti, la satira rapisce alle ceneri di sè stessa una scintilla che è la scintilla della vita, e attizzato il fuoco, questo divamperà ben presto in vastissimo incendio.