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capitolo xvi 83
     100— Perché, o ninfa mia, intorno miri?

— diss’io a lei.— Deh! alza gli occhi belli,
che hai nel viso, quasi duo zaffiri.
     Perché stai timorosa e non favelli?—
Allor alzò la faccia a me e parlommi,
105’sciuccando gli occhi a sé co’ suoi capelli.
     — Pel sommo Iove e per li dèi piú sommi
per l’aere e ’l cielo, il qual nostr’amor vede,
pel duro dardo il qual gittato fommi,
     ti prego, amante, che mi dia la fede
110che non m’inganni e che vogli esser mio,
da ch’io son tua e Venus mi ti diede.
     Or ti dirò perché ho sospetto io:
qui stan centauri e fauni incestuosi,
turpi in ogni atto scostumato e rio.
     115E stanno tra le selve qui nascosi,
e qui la ’Nvidia maledetta anco usa
con sue tre lingue e denti venenosi.
     Ed io temo lor biasmo e loro accusa;
però pavento, e sai che colpa occolta
120innante ai numi e al mondo ha mezza scusa.
     Però, acciò che teco non sia còlta,
prego che la partenza non sia dura
a te, né anco a me per questa volta.—
     Un monte mi mostrò e:— Su l’altura
125— mi disse sta un boschetto; io lí verraggio
a te, quando la notte sará oscura.—
     E, perché ’l suo consiglio parve saggio,
io me partii; ma prima li die’ il giuro
d’amarla sempremai con buon coraggio.
     130Ed ella del venir mi fe’ sicuro.
Cosí n’andai; e, quando al loco fui
colla speranza del venir futuro,
     dissi pregando:— O Febo, i corsier tui
movi veloci verso l’occidente,
135perché piú ratto questo dí s’abbui.