— diss’io a lei.— Deh! alza gli occhi belli,
che hai nel viso, quasi duo zaffiri.
Perché stai timorosa e non favelli?—
Allor alzò la faccia a me e parlommi, 105’sciuccando gli occhi a sé co’ suoi capelli.
— Pel sommo Iove e per li dèi piú sommi
per l’aere e ’l cielo, il qual nostr’amor vede,
pel duro dardo il qual gittato fommi,
ti prego, amante, che mi dia la fede 110che non m’inganni e che vogli esser mio,
da ch’io son tua e Venus mi ti diede.
Or ti dirò perché ho sospetto io:
qui stan centauri e fauni incestuosi,
turpi in ogni atto scostumato e rio. 115E stanno tra le selve qui nascosi,
e qui la ’Nvidia maledetta anco usa
con sue tre lingue e denti venenosi.
Ed io temo lor biasmo e loro accusa;
però pavento, e sai che colpa occolta 120innante ai numi e al mondo ha mezza scusa.
Però, acciò che teco non sia còlta,
prego che la partenza non sia dura
a te, né anco a me per questa volta.—
Un monte mi mostrò e:— Su l’altura 125— mi disse sta un boschetto; io lí verraggio
a te, quando la notte sará oscura.—
E, perché ’l suo consiglio parve saggio,
io me partii; ma prima li die’ il giuro
d’amarla sempremai con buon coraggio. 130Ed ella del venir mi fe’ sicuro.
Cosí n’andai; e, quando al loco fui
colla speranza del venir futuro,
dissi pregando:— O Febo, i corsier tui
movi veloci verso l’occidente, 135perché piú ratto questo dí s’abbui.