ché mai la fiamma può veder la vista
o la luce del foco per se sola,
s’ella non è con altro corpo mista.—
Tacette poscia dopo esta parola; 140ond’io a lei risposi:— Ammiro alquanto
come s’accende il vapor che ’nsú vola.
Ed anco ammiro come può esser tanto,
che se ne faccia vento e pioggia ancora
e l’altre cose dette nel tuo canto.— 145Sub brevitá questo rispose allora:
— Pensa del cibo dentro al corpo umano,
quando è indigesto e quando egli evapóra:
il qual, quando è cacciato fuor dell’ano,
s’infiammeria come trita vernice, 150se si scontrasse in acceso vulcano.
Cosí il vapor, che sú ’l mio canto dice,
s’infiamma giunto nell’aere acceso
e d’ogni impressione è la radice.—
Cupido, quando a questo io stava atteso, 155venía per l’aere quasi uccel veloce
colle saette in mano e l’arco teso.
— O Taura— chiamò ad alta voce,—
tu proverai che piú ’l mio foco infiamma
che quel del tuo Vulcano, e che piú coce. 160Ei l’ha provato, e sallo la mia mamma.—
Cosí dicendo, un colpo tal gli porse
col dardo acceso di sacrata fiamma,
che trapassolla e insino a me trascorse;
e tanto m’infiammò quella saetta, 165ch’io grida’ aiuto, e l’Amor non soccorse.
Taura bella, di dolor costretta,
gridò al ciel:— Vulcano, ora m’aita,
e del crudele Amor fammi vendetta.—
E, detto questo, cadé tramortita.