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capitolo xii 63

     100Da questo regno sí alto e capace
la guida sale alla nobile Astrea,
che con Saturno resse il mondo in pace.
     Ma, poiché fu la gente fatta rea
e l’avarizia resse il mondo male,
105ritornò al cielo, ov’ella è fatta dea.
     Al nobil mio reame poi si sale,
ove si trovan tre altre reine,
ognuna in nobiltá a me eguale.
     Con queste tre sí alte e sí divine
110contemplo Dio, che regge l’universo,
principio d’ogni cosa, mezzo e fine.
     Il regno mio è fatto a questo verso,
com’io t’ho detto: or di’ se vuoi venire
o per le selve errando andar disperso.—
     115Io era pronto e giá volea dire:
— Io voglio, o dea, seguire il tuo consiglio
e dietro a’ piedi tuoi sempre vo’ ire.—
     Ma, quando in aer su alzai il ciglio,
vidi Venus, la quale una donzella
120mi mostrò lieta e Cupido suo figlio,
     non vista mai al mio parer sí bella;
e cenno mi facían che su non gisse,
ché fermamente mi darebbon quella.
     E parve che Cupido mi ferisse
125di piombo e d’oro; e con quelle due polse
fece che allora non mi dipartisse.
     Quella del piombo il buon amor mi tolse,
ch’avea d’Ilbina, e con quella dell’oro,
oh lasso me! che a boschi anco mi volse.
     130Per questo non seguii quel sacro coro;
per questo lascia’ io la compagnia,
che mi menava all’alto concistoro.
     Risposi a Palla:— O dea, la possa mia
non si confida e forse non può tanto
135che vinca i mostri e saglia sí gran via.—
     Cosí