La ninfa, che risposto m’avea pria:
— O giovin— disse,— non abbiam temenza,
né anco incresce a noi tua compagnia.
Ma noi Minerva, dea di sapienza, 140aspettiam qui; e da noi qui s’aspetta
con lo gran carro della sua eccellenza;
ché qui tra noi è una giovinetta,
che vuoi menare al suo regno felice,
la qual tra le sue ninfe ha per sé eletta; 145e non sappiam di qual di noi si dice.
Noi non voramo, quando ella discende,
che alcun uomo con noi trovasse quice.
Per quella cortesia, che ’n te risplende,
ti prego che di qui ti parti alquanto, 150ché tua presenza sospette ne rende.
— O ninfa, veder te m’è grato tanto
— risposi a lei— e tanto a te mi lego,
che io non posso andar in alcun canto.
Ma io a me stesso la mia voglia niego 155contra mia voglia ed al partire assento,
da che ti piace: tanto può ’l tuo priego.
E, da che io mi parto con tormento,
dimmi chi se’; e quando qui ritorno,
prego, del tuo parlar fammi contento.— 160Per la vergogna arrosciò il viso adorno,
e ch’io non fossi udito ella temea:
però ella mirava intorno intorno.
Poscia rispose:— Io nacqui giá ’n Alfea,
Ilbina ho nome e tra li duri scogli 165vo seguitando la selvaggia dea.
Piú non ti dico: omai partir ti vogli.—