quando con vergognoso e bel sembiante 65venne Lippea inverso il fiumicello,
ond’io andai dicendo a lei davante:
— O ninfa mia gentil col viso bello,
deh! non t’incresca e non aver temenza
se io, che tanto t’amo, ti favello. 70Perché pur fuggi e pur fai resistenza
a quell’Amor, ch’anco li dèi percote
con le saette della sua potenza?—
Sí come onesta donna, che non puote
soffrir lascivo sguardo, sottomette 75e abbassa gli occhi e fa rosse le gote:
cosí fece ella alle parole dette,
che abbassò il viso e diventò vermiglia
e lagrimò e le parol tacette.
— Mostra i zaffiri, c’hai sotto le ciglia 80— dissi,— o Lippea, ed alza sú la vista,
che alle dèe del ciel si rassomiglia.—
Sfogando il pianto:— Oimè, misera, trista!
Oimè!— diss’ella.— Io ho tanto tormento:
Amor non vuol che a lui io piú resista. 85Se mai il dispettai, io me ne pento;
se mai il gran Cupido io ebbi a vile,
dico «mia colpa» e dico «me ne mento».
Con la potenza dell’orato astile
di mie parole folli ora mi paga 90e col foco, che al cor va sí sottile.
Ma io il prego o che il dardo ritraga,
che m’ha ferito il cor, o che mi uccida,
sí che la morte risani la piaga.—
Ed io a lei:— Cupido fu mia guida 95insino a te, ed egli mi promise
donarti a me con sua parola fida.—
Udito questo, il viso sottomise;
poi disse sospirando e con vergogna:
— Perché, quando ferí, e’ non mi uccise?