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capitolo viii 41

     perché ad amar le ninfe non son scorte,
pel grande incendio del sacrato foco
30verrebbon meno e caderebbon morte.
     Il caldo cominciò a poco a poco
passargli al cor con l’infocato dardo;
e giá ferita non trovava loco.
     Lippea allora a me alzò lo sguardo
35e con gli occhi mirommi, con li quali
tanto m’accese il cor, ch’ancora io ardo.
     L’Amor, movendo poi le splendide ali,
per man menommi insino alla fontana,
menacciando anco con suoi duri strali.
     40Di me s’avvide allora dea Diana
e disse irata e con acerbo volto:
— Or che fa qui quella persona strana?—
     Lo dio Cupido meco s’era folto,
ma non veduto; ch’egli alla sua posta
45si può manifestare e farsi occolto.
     Egli mi disse:— Fa’, fa’ la risposta.—
Onde io andai, e riverente e chino
mi posi al carro suo appresso e a costa.
     E dissi a lei:— Mio caso e mio destino,
50o dea, m’ha qui condotto nel tuo regno
per uno errante ed aspero cammino.
     Forse Dio il fe’ che alla tua festa vegno:
per lui ti prego, o alma dea selvaggia,
che non mi scacci e che non m’abbi a sdegno.
     55E prego te che una grazia io aggia:
che come starvi Ippolito a te piacque,
cosí possa io tra questa turba gaggia.—
     E come chi consente, ella si tacque:
cosí sospeso e dubbioso rimasi
60e tornai a Cupido presso all’acque.
     Il carro della dea ben venti pasi
dal fonte, a mio parere, era distante,
e ’l sol calato all’orizzonte o quasi,