Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/361


capitolo xvi 355

     100Poi miglia’ d’alme m’apparson innanti,
ed un angelo die’ splendide stole,
in scambio delli corpi, a lor per manti.
     Sí come un’altra cosa dar si suole
per consolar alquanto chi pur chiede,
105quando non puote aver quel ch’egli vuole;
     cosí l’agnol le vesti bianche diede
e disse a lor:— Queste vestite, intanto
che d’uomin s’émpian le superne sede.—
     Quell’alme allora andonno in ogni canto,
110cercando il tempio, e lor corpi mirando
con tal desio, che mi mossono a pianto.
     — Il corpo mio è questo: o Dio, oh! quando
lo mi rivestirò?— dicevan molti.
Alquanti il sangue lor givan basciando;
     115alquanti dimostravan li loro volti
e le ferite e le lor membra sparte,
le braccia e i piè intra li ferri involti.
     Po’, come fa l’amico, che si parte
dall’altro amico, e, perché amor dimostri,
120sospira e dice:— A me incresce lasciarte;—
     cosí dissono quelli:— O corpi nostri,
dormite in pace, e tosto Dio ne doni
voi venir nosco alli beati chiostri.—
     Poi se n’andôn con piú dolci canzoni,
125e sol rimase meco il Vaso eletto,
il qual proferse a me questi sermoni:
     — Se d’altro vuoi ch’io informi il tuo intelletto,
mentr’io son teco, perché non domandi?—
Ed io, che il domandar avíe concetto,
     130risposi:— O dottor mio, da che ’l comandi,
dichiara a me in qual etá li morti
resurgeranno e quanto parvi o grandi.—
     Ed egli a me:— Di lor saran due sorti,
com’io ho detto, ed una de’ captivi,
135l’altra di quei ch’a ben far funno accorti.