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capitolo xiv 343

     Le reni, il ventre e l’uno e l’altro fianco
eran di rame rubro e resonante,
30e quel, con che si siede, ramengo anco.
     Le cosce e gambe insin giuso alle piante
eran di ferro e i piè di terra cotta,
parte non cotta, e su quelli era stante.
     Poi una pietra men ch’una pallotta
35se stessa si ricise e si remosse
d’un alto monte e venne a valle in frotta.
     E nelli piedi all’idolo percosse
e sminuzzollo e prostrollo confratto,
sí che appena parea che stato fosse.
     40Quella petruccia in questo crebbe ratto
e fecesi un gran monte, e su la cima
tosto un tempio alto ed ampio vi fu fatto.
     Dal loco, ove quell’idolo era prima,
io mi partii e salsi il monte tanto,
45ch’andai tre miglia e piú, alla mia estima.
     Quel tempio risplendea da ogni canto,
e, quando vidi com’era costrutto,
ne sospirai con lacrime e con pianto,
     ch’era di corpi morti fatto tutto;
50e per calcina v’era il sangue posto
recente sí, ch’ancor non era asciutto.
     Vapore acceso nel mese d’agosto
mai non trascorse il ciel tanto veloce,
né polsa da balestro va sí tosto,
     55come scese dal ciel con una croce
donna vestita in bianco, e, giú discesa,
benigna a me proferse questa voce:
     — Il tempio sacro è questo, ovver la Chiesa,
fermata in su la pietra; e ferma siede,
60bontá del fundamento, ond’è difesa.
     Ed io, che or ti parlo, son la Fede:
a me con tanto sangue e con martíro
fu fatto il tempio, che quassú si vede.