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capitolo vi 301

     e per veder le dame che qui stanno;
e vengo, alta regina, ché m’insegni
30l’offizio e l’operar, che da te hanno.
     Se ’l priego basso mio, donna, disdegni,
Minerva disse a me ch’io ti richieggia
e che venissi qui, ove tu regni.—
     Siccome, quando le sue schier vagheggia,
35si mostra ardito il nobil capitano,
ed ognun delli suoi, perch’egli il veggia,
     cosí fec’ella con la spada in mano,
e cosí se mostroe ogni sua ancilla,
in forma femminile ardir umano.
     40Non mai Pantasilea ovver Camilla
tanto valor nell’arme dimostrâro,
né donna d’Amazona o d’altra villa.
     — Da c’hai passato il cammin cosí amaro
— rispose quella,— e mándati Minerva,
45degno è che io t’insegni e faccia chiaro.
     La parte, che nell’uom debbe esser serva,
per due cagioni alla ragion s’oppone
e contra buona legge sta proterva.
     Prima è dolcezza delle cose buone
50secondo il senso, e, quando troppo move,
a questa Temperanza il fren gli pone.
     L’altra è quand’ella andar non vuol lá, dove
la ragion ditta e fállo per paura
o per diletto, che la tiri altrove.
     55Ora a’ due offizi miei porrai ben cura.
Uno è che arma l’uom e che lo sprona
alla vertú contra ogni cosa dura.
     E, perch’abbia vittoria, la corona
io gli dimostro; e, se vince l’asprezza,
60prometto fama e premio, che ’l ciel dona.
     L’altro è che, come Ulisse, la dolcezza
lassa di Circe e, come Sanson fiero,
svegliato, i lacci di Dalida spezza.