Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/304

298 libro quarto

     100Il corpo, che del poco ha sua bastanza,
se non ha buono assai e spesso e presto,
mormora guasto dalla mal usanza.
     Or pochi fanno quel digiun richiesto
per decima da Dio, che gli sia offerta,
105del tempo, che a ben far n’ha dato in presto.
     E non val ch’è precetto e che si accerta
ch’estirpa i vizi e le virtú acquista,
e che lieva la mente a Dio sú erta.—
     Qui lasciò ’l canto come ’l citarista;
110poi come fa’l falcon, quando si move,
cosí Umiltá al cielo alzò la vista,
     dicendo:— O alto Dio, o sommo Iove,
nulla umiltá che pretenda bassezza,
possibil è che mai in te si trove.
     115Ma, permanendo in sé la tua altezza,
il tuo Figliuol l’umanitá si unío
non con difetti, ma con l’altra asprezza,
     sí ch’egli, essendo insieme e uomo e Dio,
in quanto Dio che satisfar potesse,
120e in quanto uom patisse ove morío,
     per colui che, produtto allora in esse,
ruppe la sbarra del comando primo
ed attentò che, quanto Dio, sapesse.
     Però convenne che ’l superbo limo
125s’umiliasse quanto insú era ito,
ed egli non potea piú ire ad imo.
     Ed anco ’l suo peccato era infinito,
pensando quel Signore, in cui presunse
e che a non obbedirlo fu ardito.
     130Per questo, Dio umanitá assunse
ed un si fece seco e fu quell’Agno,
che pei peccati altrui s’offerse e punse.
     O alto mio Signor, tu se’ sí magno,
che tutti quanti i ciel son la tua sede,
135e la terra è scabello al tuo calcagno.