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capitolo i 277

     ove null’uom giammai sarebbe morto
senza sua voglia e non giá per natura,
ché sol per grazia venía tal conforto;
     ché nulla cosa, c’ha in sé mistura
65di qualitá ed opposita azione,
di venir men puote esser mai secura.
     Mentr’io ascoltava la dolce canzone
degli uccelletti, ed io vidi venire
due venerande ed antiche persone.
     70Il meno antico a me cominciò a dire:
— Come tu in questo luogo se’ intrato?
con qual potenzia vien’? con qual ardire?—
     Minerva allor rispose:— Io l’ho menato;
l’agnol di Dio a lui la porta aperse,
75quando umilmente da lui fu pregato.
     Giú del centro d’inferno, ove s’immerse,
colle mie mani io da primaio el trassi,
e feci sí, ch’in quel loco non perse.
     Palla son io, che gli ho guidato i passi
80per mezzo a’ vizi e tra le fiere crude
insino a voi, ai qual vuol Dio che ’l lassi,
     ché demostriate a lui ogni vertude:
quassú venute sonno e quassú stanno,
quando fuggîr del mondo, ch’è palude.
     85Tornar io voglio al mio beato scanno:
a questi lascio te, dolce figliuolo:
costor inverso il ciel ti guidaranno.—
     Cosí dicendo, in alto prese il volo;
ed io, piangendo, dissi:— O dolce Palla,
90perché di te cosí mi lasci solo?
     Dietro alli passi tuoi ed alla spalla
lasciato ho ’l mondo, o scorta e mia auriga,
il qual, rispetto a questo, è una stalla.
     E sempre, andando insú con gran fatiga,
95le tue vestige, o donna, seguitai,
tra ’l mezzo delli mostri e di lor briga.