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276 libro quarto

     25ché ogni frutto, quanto ha piú distanza
da quello loco, tanto ha vertú meno,
e quanto piú s’appressa, in virtú avanza.
     Tra quelli fiori e l’aere sereno,
e tra le melodie di quel piano
30io trapassai di dolci canti pieno.
     Da quel giardino er’io poco lontano,
ch’io vidi un serafino in su la porta,
ch’è posto lí da Dio per guardiano,
     il qual un gran coltel nella man porta;
35e l’uno e l’altro è di color di foco,
talché lor fiamma al sol non parea smorta.
     Quando appressato a lui mi fui un poco,
egli mi disse, la spada vibrando:
— Guarda come trapassi in questo loco,
     40dal qual per colpa fu l’uom messo in bando,
non solamente per gustar del pomo,
ma perch’e’ trapassò di Dio il comando.—
     Minerva a me insegnato avea siccomo
l’intrata da quell’angelo si chiede,
45senza il qual modo non v’entra mai uomo.
     In terra mi prostrai da capo a piede,
ed ivi in croce spasi le mie braccia
come nel legno Quel che a noi si diede.
     E dissi:— O angel, prego ch’e’ ti piaccia,
50per amor del Signor, ch’è sí cortese,
che nullo, che a lui torni, mai discaccia,
     che lí mi lassi entrar nel bel paese.
Tu sai ch’Egli al ladron su nella croce
simile grazia fe’, quando gliel chiese.—
     55L’angel allora, al suon di questa voce,
la porta aprío e diedene l’entrata,
levando via il coltel tanto feroce.
     Come buona speranza il cor dilata
d’allegrezza, cotal a me quell’orto
60dava letizia e la contrada grata,