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270 libro terzo

     Vivo ebbi l’arra, ed ora ho ’l pagamento;
ch’ogni peccato la pena riceve
prima nel mondo e poi qui ha ’l tormento.
     Vero è che su nel mondo è ratto e brieve,
e qui ogni dolor dura in eterno
105ed anco è piú intenso e vieppiú grieve,
     però che ’l mal, il qual è sempiterno,
rispetto a quella doglia, ch’è finita,
nulla ha proporzion, s’io ben discerno.
     E sappi ben che su la mortal vita
110ha l’uom della lussuria molte pene,
se la ragion e vertú non l’aita.
     La prima è trista e furiosa spene:
quant’è maggior l’amore, il quale aspetta,
tanto, aspettando, piú pena sostiene.
     115L’altra è la gelosia sempre suspetta:
ciò, che timor possiede o gelosia,
assai tormenta piú che non diletta.
     Ogni amadore ed ogni signoria
vuol esser sola ed odia ed inimica
120ogni consorte ed ogni compagnia.
     L’altra è il periglio, affanno e la fatica.
Mai vil gaglioffo chiese il suo bisogno,
quanto amor chiede la cosa impudica;
     e poscia, avuto, passa come un sogno
125quel ch’era chiesto con tanto fervore
e con parol, di quali ancor vergogno.
     E va languendo il misero amadore,
chiedendo aiuto alli suoi gran martíri,
e dice, se non l’ha, che tosto more.
     130Cogli occhi lagrimosi e con sospiri
dietro alla ’manza va il misero amante,
per grazia a lei chiedendo che lui miri.
     E quel, che acquista con fatiche tante
e con le spese, ratto si dilegua
135sí come un’ombra che fugge davante.