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capitolo xiii

     Non due fiate il dí, ma vieppiú volte
il poto e ’l cibo da questi si prende,
come le bestie fan, che son disciolte.
     Nel modo d’usar cibi anco s’offende,
140ch’alcuno è scostumato, alcun ghiottone,
alcun le braccia su la mensa stende.
     Anche è vorace alcun come lione;
ed alcun su nel cibo soffia il fiato,
alcun per fretta va incontra ’l boccone.—
     145Quando Minerva questo ebbe parlato,
quell’Epicur col collo di cicogna
rispose e disse con lungo palato:
     — Ancor detto non t’ha ciò che bisogna,
ché non t’ha detto le cinque figliuole,
150perché nomarle forse si vergogna.
     La prima figlia, che saper si vòle,
è Immondizia del cibo, che guasto
corromper in lo stomaco si suole;
     ché, quando ha troppo vin con troppo pasto,
155perché cuocer nol può, fuor per la bocca
corrotto esala e fa al naso contrasto,
     e sopra erutta e sotto quello scocca,
il qual balestra come traditore,
che apposta alle calcagne, e ’l naso tocca.
     160La seconda figliola è vie peggiore,
Ebetudo, di mente inferma e mesta,
che toglie all’intelletto ogni valore.
     La terza ha nome brutta e trista Festa,
di buffonie e di giuochi; e questa è quella
165che al Batista giá tagliò la testa.
     La quarta è quella che troppo favella.
La quinta è truffe ed opere scurrile:
questa in la lingua porta la fiammella,
     e nullo è vizio piú che questo vile.—