100S’è naturale, non è mai vizioso;
e vizioso si fa, se sfrena tanto,
che a Dio ed a ragion vada a ritroso.
Questo appetito può sfrenar nel quanto:
in troppo prender pasto, in troppo stare 105a mensa, in troppi cibi, in buffe e canto.
Nel quale ancora questo può peccare,
quando non fame l’appetito sveglia
ovver bisogno, ma sol dilettare.
Ahi, come è dur sí ben guidar la breglia 110tra ’l quanto e ’l qual nel pasto, ch’uom non cada,
se molta vertú attenta non ci veglia!
Ché questo passo ognun convien che guada
del prender pasto; ma servar misura
è forte, se vertú ben non vi bada. 115Quand’altri sfrena sí, che troppo cura,
perché con dilicanza s’apparecchi,
costui pecca nel qual ed epicura.
Non in un modo i cibi, ma in parecchi,
non per bisogno ’i cuoce e s’affatica: 120però Natura fa che raro invecchi.
Ahi, gola miseranda! ché la mica
col favor della fame ha piú diletto
che le molte vivande, e me’ notríca.
Mira colui che quivi sta a rimpetto.— 125Ed io sguardai, e ben due passi e piue
aveva il collo lungo sopra il petto.
— Colui desiderò ’l collo di grue
— disse a me Palla,— a dar piú dilettanza
alla sua gola, il cibo andando ingiue. 130Or l’ha sí lungo, ch’ogni struzzo avanza;
e la sua gola sempre di sete arde,
né mai di poter bere egli ha speranza.
Nel tempo ancor si pecca, se ben guarde:
in questo peccan le persone stolte, 135ch’al pasto sempre lor par esser tarde.