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CAPITOLO XIII
Delle specie e rami discendenti dal vizio della gola.
Io stava ad ammirar cogli occhi attenti,
quando Palla mi disse:— Ché non miri
del vizio della gola i gran tormenti?—
Allor mirai; e giammai li martíri
5dir non potrei con questo parlar brieve,
a’ quai conduce Bacco, e li sospiri,
non per colpa del vin che si riceve
(che utile è da sé e ben conforta,
se temperatamente altrui lo beve),
10ma perché la fortezza, ch’è giá morta,
par che susciti alquanto nel presente:
però la gente matta e non accorta
a questo mira; ed anco che splendente
entra e soave, e non sguardan li matti
15che ’l troppo morde, poi, piú che serpente.
Quindi son gli occhi rossi e i nervi attratti,
il furor cieco, rabido e rubesto,
e di scimia canini e porcini atti.
Quando Minerva m’ebbe detto questo,
20vidi una donna tutta brutta ed unta,
e col volto lascivo e disonesto,
ch’avea la vesta stracciata e consunta,
e di cane e di porco avea due grugni
e lingua a spada armata su la punta
25e le man fure ed artigliose l’ugni,
e, come fa ’l leon, quando divora,
mangiava il pasto, ch’avea tra li pugni.