ché Dio ne fece, se tu ben il pensi, 65nel corpo umano, ed anco la Natura,
che ’l cibo a’ membri per noi si dispensi.
E l’uomo ha fatto di noi sepoltura
a tutti gli animali: il troppo e spesso
fa generare in noi ogni bruttura. 70In noi si sepelisce arrosto e lesso;
e, quando nostra voglia è piena e sfasta,
s’adduce il terzo, il quarto e ’l quinto messo.
Con savoretti or questo or quel si tasta;
per dilettar la gola e la sua porta, 75aggrava noi gridanti:— Oimè, che basta!—
Però ’l mal cresce, e la vita s’accorta;
ché, perché ’l cibo in noi non ben si cuoce,
si manda a’ membri crudo e non conforta.
La quantitá del vin, che tanto nòce, 80si corrompe pel troppo; e quinci è ’l grido
delle incurabil doglie e di lor croce.
L’animal bruto a Cerere e a Cupido
non acconsente e non prende acqua o ésca,
se no’ al bisogno, ed anco non fa nido. 85E, benché a noi ed a natura incresca,
il miser’uomo intana dentro al petto
ciò ch’anda o vola o che nel mar si pesca.—
Io stava ad ascoltar con gran diletto,
quando Palla mi disse:— Volta il viso.— 90Ond’io ’l voltai, sí come a me fu detto.
E, risguardando ben con l’occhio fiso
per l’aer tenebroso e quasi opaco,
io vidi cosa, che spesso n’ho riso.
D’un’acqua fresca vidi un ampio laco, 95ed un altro di vin, ch’era sí grande,
che maggior mai nol chiedería briaco.
Intorno a questi eran tutte vivande,
ed anco vini eletti v’eran tutti,
che bevitor ovver ghiotton domande.