Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/260

254 libro terzo

     ché Dio ne fece, se tu ben il pensi,
65nel corpo umano, ed anco la Natura,
che ’l cibo a’ membri per noi si dispensi.
     E l’uomo ha fatto di noi sepoltura
a tutti gli animali: il troppo e spesso
fa generare in noi ogni bruttura.
     70In noi si sepelisce arrosto e lesso;
e, quando nostra voglia è piena e sfasta,
s’adduce il terzo, il quarto e ’l quinto messo.
     Con savoretti or questo or quel si tasta;
per dilettar la gola e la sua porta,
75aggrava noi gridanti:— Oimè, che basta!—
     Però ’l mal cresce, e la vita s’accorta;
ché, perché ’l cibo in noi non ben si cuoce,
si manda a’ membri crudo e non conforta.
     La quantitá del vin, che tanto nòce,
80si corrompe pel troppo; e quinci è ’l grido
delle incurabil doglie e di lor croce.
     L’animal bruto a Cerere e a Cupido
non acconsente e non prende acqua o ésca,
se no’ al bisogno, ed anco non fa nido.
     85E, benché a noi ed a natura incresca,
il miser’uomo intana dentro al petto
ciò ch’anda o vola o che nel mar si pesca.—
     Io stava ad ascoltar con gran diletto,
quando Palla mi disse:— Volta il viso.—
90Ond’io ’l voltai, sí come a me fu detto.
     E, risguardando ben con l’occhio fiso
per l’aer tenebroso e quasi opaco,
io vidi cosa, che spesso n’ho riso.
     D’un’acqua fresca vidi un ampio laco,
95ed un altro di vin, ch’era sí grande,
che maggior mai nol chiedería briaco.
     Intorno a questi eran tutte vivande,
ed anco vini eletti v’eran tutti,
che bevitor ovver ghiotton domande.