è quel dimon, ch’entrò nel cor di Giuda,
quando col bascio il gran Signor tradío 30per l’appetito della lupa cruda.
Il quarto mostro, piú malvagio e rio,
è quel che ’l secol d’oro e l’etá lieta
conturbò prima con dir «tuo» e «mio».
E ’l coltel sanguinoso e la moneta 35vedi che porta, ed è pien di veneno,
fiero e rapace senza nulla pietá.—
Poi tanti mostri parturío del seno
e tanto brutti la bramosa lupa,
ch’a numerargli ognun ne verría meno. 40— Ella è nel ventre tanto grande e cupa
— disse Minerva,— e mena a tanti lacci,
ch’ogni intelletto grande e legge occúpa.
Perché nel fundamento ben lo sacci,
attendi ch’avarizia è voglia accesa 45di conservar o ch’acquistar procacci.
Se ad acquistar questa voglia fa impresa,
sta in faticosa cura e sempre in moto
e sempre al pasto con la mente attesa;
ché sempremai ’l voler, quand’è rimoto 50da quel ch’egli desia, si move e corre,
insin ch’è pien, se gli par esser vòto.
E, perch’empier non puossi e fame tôrre
giammai l’avaro e bramoso appetito,
salvo al desio non voglia termin porre, 55per questo avvien che quanto piú è ito
oltra, acquistando, tanto s’affatica:
però tal cura cresce in infinito.
E quanto vien piú verso l’etá antica,
tanto piú cresce e per amor del pasto 60ogni altro amor disprezza ed inimica.
Quinci escon i gran mal, che ’l mondo han guasto;
ché, quando questa brama non s’affrena,
sforzando, ruba altrui con onte ed asto