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capitolo vi 223

     Non valse a lui mostrar che ne difese;
e che, s’egli non fosse, dir non valse,
30sarian le roman case state incese;
     ché, quando per virtú in gloria salse,
allor l’Invidia, per tirarlo a basso,
contro lui mosse mille lingue false.
     Ond’egli fuor di Roma mosse il passo,
35dicendo:— O madre ingrata al figliol pio,
o patria invidiosa, ora ti lasso:
     tu non possederai il corpo mio.
Ed io, che parlo, fu’ il primo tra quelli,
ché invidia contro lui mi fe’ sí rio.
     40Però son posto qui alli fragelli,
che tu hai visti, e invidia ne tormenta
in quello che ne fe’ malvagi e felli.
     Iustizia fa ch’ognun di noi diventa
san nelli membri, e cosí fa rifarne
45almen nel mese delle volte trenta.
     E, come noi mangiammo l’altrui carne
sí come cani, e cosí per vendetta
da invidiosi can fa divorarne.—
     E giá la dea insú n’andava in fretta,
50ond’io partimmi e non gli fei risposta;
e, mentr’io andava per la strada incerta,
     trova’ una fossa occulta in la via posta,
e senza voglia mia il piè vi posi,
e caddi in terra alla sinistra costa.
     55Subito mille cani, ivi nascosi,
vennon contro di me con grandi gridi
e colli denti di cani rabbiosi.
     Ahi, quanto io ammirai, quando li vidi!
Ed anco ebbi timor di lor concorso,
60quando disseno:— Preso è; uccidi, uccidi!—
     Sí come il can quando è percosso e morso,
ch’ogni altro can gli abbaia e fagli guerra,
quando grida per doglia o per soccorso,