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libro terzo

     Minerva avea il mele ed avea il pane;
e fenne un misto ed al mostro gittollo:
allor tacette quel rabbioso cane
     e, per piú averne, ratto stese il collo
e ventiloe la coda ed alzò ’l mento
105come il mastin, quando non è satollo.
     Mentr’egli, per piú averne, stava attento,
la dea accennò ch’io prendessi la via;
ond’io quatto su andai a passo lento.
     Quando Cerber s’avvide ch’io fuggía,
110mi risguardò e poi scosse la testa
e con tre gole borbottò in pria.
     Poscia corse ver’ me con gran tempesta,
come alla preda affamato lione,
quando adirato sta nella foresta.
     115— Fa’, fa’ che ratto a lui lo scudo oppone
— gridò Minerva,— se non vuoi morire,
ov’è scolpito l’orribil Gorgone.—
     Il gran periglio dá maggior ardire,
se non dispera; ed io lo scudo opposi,
120quando su contra me il vidi venire.
     Egli lo morse coi denti rabbiosi;
poi li ritrasse a sé, perché s’avvide
che al cristallo non eran noiosi.
     Allor gridai:— O Palla, che mi guide,
125perché tu a questa volta m’hai lasciato?
perché tu a me medesmo sol mi fide?—
     Per questo corse e posemise a lato,
dicendo a me:— Perché ’l timor t’assale,
da che natura ed io t’abbiamo armato?
     130Per questa piaggia, per la qual tu sale,
se tu non lassi l’arme da te stesso,
nulla nuocerti può over far male.—
     Quando questo dicea, ed ivi appresso
in terra vidi guasto un corpo umano,
135mezzo corroso e con lo petto fesso.