Ed alla gente, che gli stava a costa, 65mostrava quelle schianze ovver la rogna,
con tre gran lingue scoprendo ogni crosta.
E, come fa il ghiotton che si vergogna,
che mira qua e lá, perché suspetta
ch’altri a sua ghiottonia mente non pogna; 70cosí facea la belva maladetta,
che ritirò le tre lingue nefande,
quando quel che percote se n’addetta.
Oh, detestanda bocca, a cui vivande
son maculare il bene e farlo poco, 75e palesare il male e farlo grande!
Poi vidi con tempesta e con gran foco
uscir di fuor di lei il gran dragone
ed assalir la gente di quel loco.
E, come in Colco fece giá Iasone, 80cosí un dimonio a lui li denti trasse,
grandi e puntuti quanto uno spuntone.
E ’n terra arò, perché li seminasse.
Nacqueno allor del maladetto seme,
come che pianta a poco a poco fasse, 85uomini armati ed uccisersi inseme;
e tanto sangue fu in quel loco sparto,
ch’ancor, pensando, la mia mente teme.
Allora il verme, ch’era il mostro quarto,
gli rose il core, ond’ella si ritorse 90come la donna, quando è presso al parto.
E, poiché dentro al petto egli a lei morse,
diventò grande e fessi un basalisco,
e sú sin alla bocca li trascorse.
Ancor dentro nel cor ne contremisco, 95pensando ch’egli uccide chiunque sguarda:
però vedi, lettor, s’io stetti a risco.
Non fe’ sí gran tempesta mai bombarda,
quanto fec’egli, quando fuor uscío,
venendo a me con la crista gagliarda.