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capitolo iv 213

     Sempre pallida sta e sempre trista;
ma, quando vede il male over che l’ode,
30alquanto ride e rallegra la vista.
     Di vipera è la carne ch’ella rode;
e ben è ver che mangia carne umana;
ma solo quando pute, gli fa prode.
     Però la carne, ch’è pulita e sana,
35prima la imbrutta, corrompe e disquarcia,
e, quando pute, nel ventre la ’ntana.
     E come mosca è avida alla marcia,
cosí è ella ghiotta di bruttura:
di questo il ventre e la bocca rinfarcia.
     40Quando a sí brutta cosa io ponea cura,
gli uscí un dimon di bocca quatto quatto
e tra le genti andò come chi fura.
     E del venen, che di lei avea tratto,
mise all’orecchie a quelli e parol disse;
45e poi, ov’era pria, ritornò ratto.
     Parve che quel venen al cor corrisse;
come licor che per condotto vada,
mi parve che alle man poi riuscisse.
     Nel core un drago, ed in man si fe’ spada
50puntuta quant’un ago e sí tagliente,
quanto rasoio suttilmente rada.
     Il drago, che nel cor occultamente
era rinchiuso, le man furiose
fece ad ognun de tutta quella gente.
     55Io vidi poi molt’anime ulcerose,
piene di schianze siccome il mendíco,
che alla porta del ricco invan si pose.
     In questo uscí, ’n men tempo ch’io non dico,
l’altro diavolo come un traditore,
60che nuocer vuole, mostrandosi amico.
     Trasse l’Invidia allor tre lingue fòre
sí lunghe, che un’asta all’altra posta,
al mio parer, non sarebbe maggiore.