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capitolo ii 205

     100L’altra è in bocca, quando ella si pregia,
vantando con parole e con iattanza,
che son le lucciol, delle qual si fregia.
     L’altra è ne’ fatti a dimostrar che avanza;
ed alcun questo mostra in santitade,
105come gl’ipocriti hanno per usanza.
     Nella scienza alcuno o in beltade
mostra eccellenza, e chi in adorno manto,
chi ne’ conviti o in altra vanitade.
     E questo vizio or è cresciuto tanto,
110che nella mensa e nel vestir non puote,
piú che ’l vassallo, il signor darsi vanto.
     Ora superbia fa le borse vòte
all’avarizia, e Venere e la gola,
ne’ servi, in ornamenti e nelle dote.
     115Cesar, del qual cotanta fama vola,
prodigo fu chiamato nel convito,
perché die’ piú ch’una vivanda sola.
     Ora la vanitá, non l’appetito,
e la superbia gran vivande chiede
120e ’l banco d’oro e d’argento fornito.
     Ed ha Mercurio, Orfeo e Ganimede,
che serva e suoni e che quell’altro mesca
innanti a Iove, mentre a mensa siede.
     O farisei, il mio dir non v’incresca,
125ché non vi tocca e non vi s’apparecchia
con sumpti e fasti il letto ed anche l’ésca.
     Il mondo, che nel vostro far si specchia,
per vostro esemplo lassa questo vizio,
sí che la lunga usanza non s’invecchia.
     130A questo diede esemplo il buon Fabrizio,
che moderava giá ’l triunfo a Roma,
e Scipion scusoe quasi ogni offizio.
     Ora messere e maestro si noma,
sol che tre fave egli abbia nel tamburo,
135che risuonin parole a soma a soma.—