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capitolo xix 189

     Alla guardia di questi arditi e forti
erano quei che son viri e cavalli,
30con li lor capitani saggi e accorti.
     Su per li prati ancor vermigli e gialli
andavan donzellette e belle dame
con melodie soavi e dolci balli.
     Quand’io stava a mirar tanto reame
35e vedea il gran Satán nell’alto seggio,
sí bello ed obbedito pur ch’e’ chiame,
     io dissi:— O Palla, or che è quel ch’io veggio?
Giá calo ad adorarlo li ginocchi:
tanto egli è bello, e grande il suo colleggio.—
     40Ed ella a me:— O figlio mio, se adocchi
per mezzo del cristallo del mio scudo
— allor mel diede ed io mel posi agli occhi,—
     tu vederai il vero aperto e nudo,
e non ti curerai dell’apparenza,
45alla qual mira l’ignorante e rudo.
     Ché chi è saggio risguarda all’essenza,
ché su in quella sta fundato il vero,
e non si muta ed ha ferma scienza.—
     Allor mirai e vidi Satan nero
50cogli occhi accesi piú che mai carbone
e non benigno, ma crudele e fèro.
     E vidi quelle sue belle corone,
che prima mi parean di tanta stima,
ch’ognuna s’era fatta un fier dragone.
     55E li capelli biondi, ch’avea prima,
s’eran fatti serpenti, ed ognun grosso
e lungo insino al petto su da cima.
     E cosí gli altri peli, ch’avea indosso;
ma quelli della barba e quei del ciglio,
60mordendo, el trasforavan sin all’osso.
     Le braccia grandi e l’ugne coll’artiglio
avea maggior che nulla torre paia;
e le man fure e preste a dar di piglio;