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186 libro secondo

     100Se ben attendi al mio parlar che dice,
vedrai ch’amor e fede mal si fonda,
quando l’utilitate ha per radice.
     Perché alla colpa la pena risponda,
noi siam succhiati, che smongemmo altrui,
105quando noi fummo in la vita gioconda.
     Se tra li vivi perverrete vui,
dite a color che vanno a saccomanno,
che faccian sí ch’e’ non vengan fra nui.
     Dite a Ioanni Aguto il nostro affanno,
110a Ioan d’Azzo, agli altri compagnoni,
che per centauri su nel mondo stanno,
     che la lor crudeltá li fa pregioni,
ed e’ si fan la corda che li mena,
ove stan questi del sangue ghiottoni.—
     115Ed io a lui:— Ai miseri c’han pena,
avervi compagnia, o n’han diletto,
o veramente alquanto il duol raffrena.
     Però mi di’ perché hai tu suspetto
che alcun non venga qui in questa soglia,
120ché non intendo ben perché l’hai detto.—
     Ed egli a me:— Non per ben ch’io lor voglia,
ma come su in ciel di piú consorti
è piú letizia, qui è maggior doglia.—
     Poi, perché funno allo strettoio attorti,
125per quella afflizion piú non mi disse;
onde n’andammo tra’ centauri forti.
     E poco er’ita Palla, che s’affisse;
e trovammo un gran mostro, in cui coloro
curson cogli archi, e ciascuno el trafisse.
     130Sí come fa il leon che prende il toro,
che ’l morde e per la fretta nol manduca,
ma succhia il sangue dove ha fatto il foro,
     ovver come fa l’orso, quando suca
il favo mèl; cosí facean ad asto,
135succhiando il sangue a quel per ogni buca.
     —