io trovai ’l Laberinto; e ch’ello fusse 65nol conoscea, se non ch’io vidi dentro
quel che del toro Pasife produsse.
Egli mugghiava fortemente, e, mentro
stav’io a vederlo e ad udir i lamenti,
che l’anime facean nel cieco centro, 70venían tre alme a quelli gran tormenti
belle e membrute, pien di sangue e grasse,
ma nella vista angosciose e dolenti.
Come leon, che allegro e crudo fasse,
vista la preda, e mostra maggior ira, 75non altramente Nesso inver’ lor trasse,
il quale amò la bella Deianira.
Trasse il centauro che nutrí Achille,
e come sanguesuga il sangue tira.
Trasse Medon ed Imbro e piú di mille; 80ed ognun le succhiava quanto puote,
come cagnol che succhia le mammille.
Poscia che l’alme fûn del sangue vòte,
divennon magre, ed ognuna si fece
qual è la fame indosso e nelle gote. 85Diss’io:— O spirti, se parlar vi lece,
chi foste e perché sète sí destrutti?
per qual iustizia o colpa o in qual vece?
— Capitan di campagna fummo tutti
— rispose l’uno,— e qui per un cammino 90venuti a queste pene e a questi lutti.
Ed io, che parlo a te, sono Ambrosino,
figliuol di Barnabò, del gran lombardo,
e sol qui tra costor io fui latino.
L’altro, ch’è qui, è Annichin Mongardo; 95fra Moriale è ’l terzo; e questa asprezza
abbiam, ch’ognun fu crudo e fu bugiardo.
E molt’erra chi crede aver fermezza
fede d’uom d’arme ovver di meretrice,
da che ’l denaio a suo piacer la spezza.