Da ogni parte io vidi molti presi, 140fra’ quai conobbi messer Gualterotto;
e vennemi piatá quando lo ’ntesi.
E’ disse a me:— Perché da me fu rotto
nel mondo ogni statuto e li decreti,
però tra questi uncini io son condotto. 145Leggi iustiniane e que’ de’ preti
non usa il mondo se non per guadagno:
però lassú son fatte come reti.
Come rompe il moscon la tela al ragno,
e non la mosca, cosí gli uomin grandi 150straccian le leggi e danvi del calcagno.—
Poi disse:— Or satisfa’ a’ miei domandi:
dimmi s’è ver che li pisan sian schiavi,
e de’ Lanfranchi miei, mentre tu andi.—
Ed io a lui:— Le signorie soavi 155non si conoscon mai dalli subietti,
se non poscia ch’e’ provan le piú gravi.
Sappi ch’i tuoi pisan son sí costretti
sotto quel giogo, che ’l dinar lor mise,
che i Gambacorti sono or benedetti. 160Poscia che ’l traditor d’Appiano uccise
messer Pier Gambacorti e i figlioli anchi
a tradimento e piangendo ne rise
ed uccise anche i primi de’ Lanfranchi,
egli vendette la cittá d’Alfea, 165sí che li tuoi pisani or non son franchi.—
Tanto m’avea menato oltre la dea
continuando per l’aspero calle,
che, se piú detto avesse, io non l’odea.
Quando noi fummo in una lunga valle, 170la dea Minerva allor mi trasse il camo,
che m’avea posto in bocca e sulle spalle.
E, quando un altro monte salivamo,
vidi color che dietro son cavalli,
e son dinanzi nepoti di Adamo, 175avvolti di serpenti verdi e gialli.