Poi in un cifo ben pulito e bianco
vidi ch’e’ bebbe sangue e inebriosse 105piú che briaco, ch’io vedesse unquanco.
In questo il mostro inver’ di noi si mosse;
e diece teste mison sette corni;
e fieramente l’un l’altro percosse.
Quando será, o putta, che tu torni 110al primo stato, alla tua madre antica,
nel prato, ove coglievi i fiori adorni?
Tu giá vivesti nel mondo pudica,
e Luna in cielo e ne’ boschi Diana
innanzi ch’a Pluton tu fussi amica, 115allora quando in ogni cosa vana
davi del calcio, e quando eri tenuta
come regina e non come puttana.
Poscia che quella donna ebbi veduta,
Minerva di quel tempio rio mi trasse 120per quella porta, ond’ella era venuta.
E su per una via volle che andasse,
ove demòni stavan con uncini,
con reti e lacci, ch’alcun ve cascasse.
— O dea— diss’io,— qual via vuoi che cammini? 125Or chi será colui, che quinci vada,
che in alcun d’esti lacci non ruini?—
Ed ella a me:— Per mezzo della strada
chi va e non declina a nulla parte,
securo va che ne’ lacci non cada. 130E, perché qui bisogna senno e arte,
il fren ti metterò; e, s’io ti meno,
non temer mai che possi illaquearte.—
Cosí dicendo, ella mi mise un freno;
poscia mi mise nell’aspro viaggio, 135ch’era d’uncini e lacci e reti pieno.
Quando io vi penso, ancor paura n’aggio
di que’ dimòni e di que’ lacci tesi,
ne’ quai cade ciascun che non è saggio.