E questo mena poi in piú errore,
ch’e’ piace a se medesmo quando pecca,
e del mal suo s’allegra e dell’angore.
Ogni bontá umana allor è secca, 140che loda il vizio per virtude vera,
e piacegli chi uccide, robba e mecca.
E, se in tal vizio indura e persevèra,
allora ’n lui ’l peccar si fa _necesse_,
e di emendarsi al tutto si dispera. 145Sappi anco che non toglie l’uman _esse_
il male, al qual fragilitá conduce,
né da ignoranza le colpe commesse;
ché tutta non oscuran quella luce,
che Dio ha posto in voi, della ragione, 150che téma, duolo e vergogna produce.
Quel che vedesti, che si fe’ demòne
e fe’ l’aspetto tanto brutto e rio,
fu spoletino e detto Servagnone:
ladro, assassin, biastimator di Dio 155e dispettoso d’ogni cosa bona
e nemico ad ogni atto onesto e pio.
L’altro s’assomigliò a Licaona,
il terzo al mostro posto nel Labrinto,
che uomo e toro fu ’n una persona. 160Né l’un né l’altro ben era distinto:
or puoi saper di lor qual fu il peccato,
che ’n lor l’aspetto umano ha tutto estinto,
e perché ’n bestia ciascuno è mutato.—