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capitolo xv 169

     Cosí, standomi fermo su l’estremo
di quella ripa, dicea:— Non verraggio,
30se noi per altra via non anderemo.—
     Palla, per rifrancare a me il coraggio,
tre volte lá e qua ’l filo trascorse,
come colui ch’assecura il viaggio.
     E, poiché la sua man alla mia porse,
35resposi:— Io vegno, da che piú ti piace;
ma forte temo e del cader so’ in forse.—
     Su per lo fil piú sottil che bambace
io passai Flegetonte e sua mal’onda,
ch’ardea di sotto piú che una fornace.
     40Quando giunse Minerva all’altra sponda,
ella chiamò come chi chiama forte
un che sia lunge e vòl che gli risponda.
     E disse:— Aprite a noi queste gran porte,
ché siam discesi nel maligno piano
45per veder Pluto, il tempio e la sua corte.—
     Risposto fu:— Il vostro passo è vano:
nullo entrar puote, s’e’ non porta seco
o presente o denar nella sua mano.—
     La dea subiunse:— Me’ che denar reco:
50però apri a noi tosto, o portinaio,
a me ed a costui, il qual è meco.—
     Mamon, che tra coloro era il primaio,
la gran porta di Dite in fretta aperse,
ratto ch’udí nominar il denaio.
     55Ma, quando vide poi che nulla offerse,
con grande sdegno ne guardò in tortoni,
e poscia irato este parol proferse:
     — Or dimmi dove son questi gran doni,
che di’ ch’arrechi, o donna, e ch’a noi porti,
60che piú che li denar di’ che son buoni.
     Ma entrasi cosí nelle gran corti?
Uscite fuora e ritornate addietro
tu e costui, a cui ha’ i passi scorti.