Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/166

160 libro secondo

     E nullo a basso perda la speranza
65tutta di me, ché spesso io son la scala
di poner in ricchezza e gran possanza.
     Ma vegga ben ognun, anzi ch’e’ sala,
che non si lagni poi, né faccia grido,
se ’l mando a quella parte che ’ngiú cala;
     70ché, quando si lamenta, ed io mi rido;
e se me chiama cruda, ed io lui pazzo,
che ’n tanta sicurtá faceva il nido.
     E questo è ’l gioco mio e ’l mio solazzo,
atterrar quel dalla parte suprema,
75ed esaltare un vestito di lazzo.
     Se falsa alcun mi chiama e mi biastema,
io non me ’n curo, e lamentevol voce
dell’allegrezze mie niente scema.—
     Io riguardai la rota piú veloce,
80di cui il cerchio quasi terra tocca;
e lí stava uno a gran tormento e croce.
     E quando sotto va l’anima sciocca,
tra ’l duro suolo e la rota s’accoglie,
e gli strascina il ventre giú e la bocca.
     85— Colui che su e giú ha tante doglie,
è Ission ed ha tal penitenza,
ché volle a Iove giá toglier la moglie;
     ché la sposa di Dio sua Provvidenza
procacciò di veder col suo intelletto,
90sí come vano colla sua scienza.
     Saper si puote bene alcuno effetto,
quand’è futuro, nella sua cagione,
come puoi nella _Fisica_ aver letto.
     Ma quel che vuol Fortuna e Dio dispone,
95se Dio non lo rivela, mai si vede
da intelletto creato o per ragione.
     Or mira quel che su nel colmo siede
del terzo cerchio e piú salir non pò,
che cosí ride e securo esser crede.