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100 Di quelli morti tra la gran rovina un si levò, che solo il cuoio e l'osse avea e verminose le intestina.
E disse:--Poiché noi siam nelle fosse, son nostri alunni e compagni li vermi. 105 Oh fine oscuro delle umane posse!
E, perché questo io meglio vel confermi, guatate i corpi fracidi di noi: per me' vedergli, alquanto state fermi.
Quali ora siete voi, ed io giá foi: 110 e quale io sono, tutti torneranno que' che son nati e che nasceran poi.
In questo loco papi meco stanno, imperatori, re e cardinali; né piú che gli altri qui potenzia hanno,
115 perché all'estremo tutti quanti equali ne fa la morte, ai ben felici atroce, e tarda e dolce agl'infelici mali.
Oh lasso me! L'indugio quanto nòce! E quel, che si dé' fare, averlo fatto, 120 oh quanto acquista del tempo veloce!
Io perdei Pisa e poi Lucca in un tratto; e questo il fe' la mia pigrizia sola, ché non soccorsi, com'io potea, ratto.
Io fui giá Uguccion dalla Fagiola.-- 125 Poi come morto ricadde supino, ratto ch'egli ebbe detto esta parola.
Io ingavicchiai le mani, e 'l viso chino tenea: per questo il cor sí m'invilío, ch'io non curava piú del mio cammino.
130 Ma quella, che guidava il passo mio, disse:--Che hai, che stai ammirativo e, come pria, venir non hai disio?
Non sapei tu che ombra è 'l corpo vivo, e che trapassa e fugge come un vento, 135 e cibo a' vermi è poi, di vita privo?
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