Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/132

126 libro secondo

     100Rispose:— Il nome mio come si chiama
non posso dir, ché da me fu negletto
quell’operar, che, morto, vive in fama.
     Io con mill’altri e piú sto qui subietto
a questa rota, che di sopra volta,
105che muta a parte a parte in noi l’aspetto;
     ché della vita breve avemmo molta,
e negligenti andammo a passo lento
sino all’estremo, dove ne fu tolta.
     Però ha fatto Dio che in anni cento
110nessun vive di noi piú di mezz’ora,
e l’altro tempo in polve giaccia spento.
     E questa pena ha l’uom nel mondo ancora;
che, mentre il ciel a lui si volve intorno,
a parte a parte conven ch’egli mora.
     115Cosí a morte corre in ogni giorno
mosso dal tempo, che volando passa
e, poich’è ito, non fa mai ritorno.
     E quella dea, che scrive il tempo e cassa
il cammin tutto dell’etá compiuta,
120un delli mille trapassar non lassa.
     Il cielo è quella rota che trasmuta
tutte l’etadi della vita breve
e che la testa bionda fa canuta.—
     Poi, come si disfá al sol la neve,
125cosí, parlando, colui si disfece,
o come cera che ’l caldo riceve.
     Minerva allor di lí partir mi fece;
ed io a lei:— Da che parlar non posso
piú con colui, rispondi a me in sua vece.
     130Se ’l cielo sopra noi non fosse mosso,
lo stare ei fermo sarebbe cagione
ch’ogni operar quaggiú fosse rimosso?—
     Ed ella a me:— Quest’altra gran quistione
richiede piú il dir aperto e sciolto,
135che non è questo, e piú lungo sermone.