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capitolo vi 125

     Niente reca, quando al mondo apporta;
65e fatica e timore è la sua vita;
ed al partir niente se ne porta.
     Allor conoscer può nella partita
che ’l vostro essere umano è come un sogno,
e sogno par la parte che n’è ita.
     70Sí come l’òr, ch’è falso e di mal cogno,
vanisce al foco, vostra vita manca;
e ciò ch’è falso manca nel bisogno.—
     Poi levai sú la mia persona stanca,
e la vecchia tacette e poi disparve;
75ond’io gli occhi voltai dalla man manca.
     Mentr’io mirava, una cosa m’apparve
mirabil sí, che, a volerla narrare,
le mie parol mi paion levi e parve.
     Vidi un gigante giovine cantare,
80bello e membruto e col leuto in mano,
e lieto lieto cominciò a ballare
     e coglier fiori su pel lordo piano;
e poi mi parve che s’inghirlandasse
di quelli fiori come garzon vano.
     85Ed una rota grande, che voltasse
di sopra a lui, e, quando ella si volve,
parea che a poco a poco il consumasse.
     Come di neve statua si risolve,
quando sta al sole, cosí a poco a poco
90si disfece e di poi diventò polve.
     Quasi fenice antica, che nel foco
arde se stessa e poi delle penne arse
un’altra nasce nuova ed in suo loco,
     cosí di quella polve un altro apparse
95giovin gigante e inghirlandò le chiome,
sotto la rota ancora a consumarse.
     Costui addomandai come avea nome,
ed anche dissi a lui ch’io avea brama
di quel disfar saper il quale e ’l come.