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capitolo v 121

     100Poscia tacette, ed io gli fei domando
dicendo:— O dea, un dubbio, il qual or penso,
la mente mia non vede, in lui pensando:
     come il dimòn, che non ha corpo o senso,
dal foco corporal ovver dal ghiaccio
105in questo inferno puote esser offenso?—
     Ed ella a me:— A molti ha dato impaccio
il dubbio, il qual il tuo parlar mi dice:
ma io dichiarerò quel che ne saccio.
     Sappi ch’amor è la prima radice
110d’ogni allegrezza, e l’odio è fundamento
di ciò che attrista ovver che fa infelice.
     Però alcun voler, quand’è retento
d’andar a quel ch’egli ama o che si toglia,
quanto piú l’ama, tanto ha piú tormento.
     115Sappi ancor ben che quanto piú alla voglia
è odioso quel che la ritiene,
tanto piú se n’affligge e piú n’ha doglia.
     Se queste mie premesse noti bene,
comprenderai il foco, onde si duole
120il dimonio in inferno e le sue pene,
     ché non puote ir dov’ama e dove vòle,
e vedesi in prigione e fatto sozzo,
libero prima e piú bello che ’l sole.
     E’ stava in cielo, ed ora sta nel pozzo
125di tutto il mondo e vede ogni suo velle
ed ogni suo desio essergli mozzo.
     Come superbo, estima che le stelle
reggere debbia ed essere il sovrano,
fatto e creato tra le cose belle.
     130E, bench’egli dal ghiaccio e da Vulcano
sensualmente non possa esser leso,
perché da lui è ogni senso strano,
     niente meno dal corpo egli è offeso,
perché a quel corpo, ch’era a lui subietto,
135ora subiace e sta dentro a lui preso.