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120 libro secondo

     Quanto con lui lo star mi parve dolce,
65tanto da lui partir mi fu amaro;
quand’ella disse:— Al venir ti soffolce.—
     Quivi lassai il mio amico caro,
figliol di Senso, il perugin Batista,
che ’l mondo il fece infetto, ch’era chiaro.
     70Di gran piatá avea carca la vista,
quando Palla mi disse:— Perché ’l viso
porti tu basso? Or che dolor t’attrista?—
     Ed io a lei:— Perciò che m’hai diviso
da colui con ch’i’ stava, o sacra dea,
75e ’l suo dolce parlar anche hai reciso.
     In chiaro e bel latino a me dicea
che Dio la morte acerba altrui permette,
perché innocenza non diventi rea.—
     Ella rispose:— E perché sian subiette
80a lei tutte l’etadi e da’ mortali
in ogni loco ed ogni ora s’aspette;
     e perché son cresciuti tanto i mali,
che al vizioso sol peccar non basta,
se nel suo vizio molti non fa eguali.
     85Come il fermento corrompe la pasta,
e l’altre poma un sol fracido melo,
cosí la prima etá l’altra poi guasta.
     Questa è l’iniquitá e ’l grande scelo
far rio altrui e sé tanto peggiore,
90quanto s’appressa piú al canuto pelo.
     Però provvede Dio che alcun si more
in quell’etá, che non è d’anni piena,
perché malizia non gl’imbrutti il core.
     E forsi che il morir tolle la pena,
95ché destinata morte è forse impiastro
ad altri mali, a che fortuna il mena.
     State contenti a ciò, che fa quel Mastro,
che regge il mondo e sa il come e ’l quando
e dispon voi sí come in cielo ogni astro.—