sordide tutte e piene di fuline,
deserte dentro e con le mura rotte,
piene di rovi, d’ortiche e di spine.
La dea a me:— Lá dentro in quelle grotte 140stava Cerbero giá rabbioso cane
con tre bocche latranti aperte e ghiotte.—
Per una intrammo di quelle gran tane,
sinché le male bolge ebbi salite:
alfine uscimmo in contrade lontane, 145ove trovammo la cittá di Dite
con le mura di foco intorno intorno,
con le torri alte e con le case igníte.
Ogni casa parea ardente forno.
Vedea i demòni colle acerbe viste, 150che lí per manegoldi fan soggiorno.
Io vidi tormentar l’anime triste;
e secondo le colpe, che han commesse,
cosí conven che lí doglia s’acquiste.
Io vidi molte per mezzo esser fesse 155con dure seghe, ed alcune co’ denti
mordevan sé, lacerando se stesse.
E questo è ’l duol che piú gli fa dolenti,
il verme della stizza, e maggior gridi
fa trarre a lor che tutti altri tormenti. 160Vidi i rattori e vidi gli omicidi
tagliare a pezzi e le lor membra crude
rifar, e poi tagliarle ancor gli vidi.
Io farò come quel che ’l dir conchiude.
Sappi, lettor, che ’l Iudice del tutto, 165che vede il core, il vizio e la virtude,
non vuol mai che ’l ben far non abbia frutto
d’onore e di letizia, e non vuol mai
che ’l male alfin non partorisca lutto
con piena e con tormento di gran guai.